La potenziale decisione del Presidente Trump di sostenere Israele in un attacco all’Iran ha innescato un acceso dibattito all’interno del suo stesso partito, esponendo profonde divisioni tra le fazioni isolazioniste e interventiste.
L’affermazione del Presidente di mercoledì – “Potrei farlo, potrei non farlo” – riguardo al potenziale coinvolgimento degli Stati Uniti nel colpire siti nucleari iraniani sottolinea questa incertezza.
La retorica passata di Trump contro le “stupide guerre infinite” si scontra con la sua affermazione che l’Iran “non può avere un’arma nucleare”, creando questo conflitto interno all’interno della sua base politica.
Questo potenziale impegno militare degli Stati Uniti ha nettamente diviso i suoi sostenitori. L’ala isolazionista si oppone a ulteriori coinvolgimenti mediorientali, mentre l’ala bellicistica si fa promotrice di una risposta forte alle percepite minacce iraniane.
La direttrice dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, ha pubblicamente messo in discussione il programma di armi nucleari dell’Iran nella testimonianza congressuale di marzo, affermando che, sebbene i livelli di uranio arricchito fossero elevati, gli esperti non credevano che l’Iran stesse attivamente sviluppando un’arma nucleare.
Tre giorni prima dell’inizio degli attacchi israeliani, Gabbard ha pubblicato un video in cui metteva in guardia contro le “élite politiche e i guerrafondai” che stavano facendo aumentare le tensioni e rischiavano un’annientamento nucleare. Questo avrebbe fatto arrabbiare Trump, che ha respinto la sua testimonianza congressuale.
Gabbard ha successivamente chiarito la sua posizione, sostenendo che i media hanno travisato le sue opinioni, affermando di essere d’accordo con il Presidente.
Il deputato repubblicano Thomas Massie ha presentato un disegno di legge per impedire azioni militari non autorizzate degli Stati Uniti contro l’Iran senza l’approvazione del Congresso, evidenziando le preoccupazioni bipartisan.
La posizione di Massie, insieme a quelle che riecheggiano la politica “America First” di Trump, sottolinea la sua promessa elettorale di evitare conflitti stranieri prolungati simili a quelli in Afghanistan e Iraq.
Figure di spicco come Tucker Carlson hanno apertamente chiesto la non interferenza degli Stati Uniti, portando a una pubblica reprimenda da parte di Trump. Ciò ha portato a una difesa insolita di Carlson da parte della lealista di Trump Marjorie Taylor Greene, che ha sostenuto che sostenere l’intervento contraddice il principio “America First”.
Un acceso scambio tra Carlson e il senatore Ted Cruz ha ulteriormente sottolineato le divisioni, evidenziando prospettive diverse sull’Iran e sulla necessità del coinvolgimento degli Stati Uniti.
Steve Bannon, ex stratega di Trump, ha avvertito che trascinare gli Stati Uniti in guerra avrebbe fratturato la coalizione di Trump. In seguito ha sembrato moderare la sua posizione, suggerendo che i sostenitori di Trump avrebbero in definitiva seguito la sua guida.
Il commentatore conservatore Charlie Kirk ha espresso fiducia nel processo decisionale di Trump, sottolineando l’approccio pragmatico del Presidente. Al contrario, il senatore Mitch McConnell ha notato il disagio tra le fazioni isolazioniste all’interno del partito repubblicano.
Al contrario, figure bellicose come il senatore Lindsey Graham si fanno promotrici del sostegno degli Stati Uniti a Israele, sottolineando le implicazioni per la sicurezza nazionale dell’impedire all’Iran di acquisire armi nucleari.
Il vicepresidente JD Vance ha tentato di colmare il divario, riconoscendo le preoccupazioni per i coinvolgimenti stranieri pur suggerendo che potrebbero essere necessarie ulteriori azioni.
Un recente sondaggio di Gray House mostra un forte sostegno tra gli elettori di Trump per aiutare Israele in un attacco all’Iran, con il 79% che è favorevole alla fornitura di armi offensive. Tuttavia, permangono preoccupazioni all’interno della base di supporto online di Trump riguardo a un altro conflitto mediorientale prolungato.
Il netto contrasto tra le promesse di pace della passata campagna di Trump e le attuali realtà geopolitiche lascia irrisolta la questione del suo corso d’azione finale – una questione che potrebbe presto richiedere una risposta.