Il cittadino australiano Matthew Radalj, dopo aver scontato cinque anni nella prigione n. 2 di Pechino – una struttura che ospita detenuti internazionali – ha descritto le terribili condizioni all’interno del sistema carcerario cinese. Il suo racconto, corroborato da diversi ex detenuti anonimi che temono ritorsioni contro le loro famiglie in Cina, descrive gravi violazioni dei diritti umani.
Radalj racconta di un trattamento iniziale brutale, inclusi pestaggi, privazione del sonno e confessioni estorte a seguito del suo arresto nel gennaio 2020. Sostiene di essere stato condannato ingiustamente per rapina a seguito di una controversia sulla riparazione di un telefono cellulare. Nonostante una condanna a quattro anni, ha subito una prolungata “fase di transizione” in un centro di detenzione separato.
Descrive celle insalubri e sovraffollate con illuminazione 24 ore su 24, igiene limitata e lavoro forzato. La popolazione carceraria comprendeva un gruppo diversificato di nazionalità, molte condannate per reati legati alla droga. Radalj evidenzia l’uso sistematico della tortura psicologica, in particolare un manipolativo sistema di “punti per buona condotta” apparentemente progettato per spezzare il morale dei detenuti piuttosto che facilitare la scarcerazione anticipata.
Questo sistema, simile a quello descritto dall’ex prigioniero britannico Peter Humphrey, prevedeva sanzioni applicate arbitrariamente per infrazioni minori, impedendo ai detenuti di accumulare i punti necessari per la riduzione della pena. Ex detenuti intervistati dalla BBC hanno confermato questa pratica.
La privazione del cibo era una punizione comune, con pasti costituiti principalmente da porzioni scarse di cavolo e mantou (pane). Anche la possibilità di acquistare razioni aggiuntive tramite i conti del carcere poteva essere negata per infrazioni percepite, come il rifiuto di partecipare al lavoro carcerario. Questo lavoro consisteva nella produzione di beni per aziende o materiali di propaganda del Partito Comunista, con i prodotti dell’azienda agricola del carcere costantemente distrutti anziché condivisi con i detenuti.
Radalj descrive anche un violento conflitto tra detenuti nigeriani e taiwanesi per il controllo di limitate provviste di cibo extra. Il suo coinvolgimento ha portato a 194 giorni di isolamento, caratterizzati da luce minima, razioni ridotte della metà e profonda privazione sensoriale, spingendolo sull’orlo del collasso mentale.
Radalj ha meticolosamente documentato le sue esperienze scrivendo di nascosto sulle confezioni delle mascherine Covid-19, poi facendolo uscire di contrabbando dalla prigione nascosto in una giacca. Ha usato questo diario per aiutare altri detenuti a mettersi in contatto con le loro famiglie, molte delle quali erano rimaste senza contatti per anni.
Al suo rilascio, Radalj esprime continua rabbia e un impegno ad assistere altri ex detenuti e le loro famiglie. La sua esperienza evidenzia profondi problemi sistemici all’interno del sistema carcerario cinese e la necessità di una maggiore sorveglianza internazionale e protezione dei diritti umani.
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